Il corpo e il tempo - Intervista a Ana Paula Mathias
​
Ana Paula Mathias è, innanzitutto, una ragazza dolce e molto timida. All’inizio della nostra intervista sembrava avesse quasi paura di aprirsi e raccontare di sé e del suo lavoro, piano piano, però, parola dopo parola ha iniziato a farci conoscere il suo mondo…
Eccolo…
Nata a Campinas, in Brasile, si è laureata in Comunicazione, campo dove ha lavorato per tantissimo tempo, quasi 10 anni. Il suo interesse, però, andava al di là della grafica e della comunicazione in sé, così inizia ad espandere la sua ricerca anche nel campo audiovisivo collaborando con l’industria del cinema e della fotografia.
Le agenzie di comunicazione, però, iniziavano a diventare un posto stretto:
“ Io ero una ragazza di colore, in un contesto di soli bianchi, la cosa bizzarra è che producevo immagini, senza utilizzare la mia immagine. Quel posto iniziò a non rappresentarmi più…ma in quel momento ancora non capivo fino in fondo il perché”
Ana ci tiene a sottolineare che lei viene da una famiglia interrazziale, ma non ha mai avuto una educazione “razzializzata”, quindi l’inizio della sua ricerca artistisca è quasi del tutto inconscia. Inizia con i propri mezzi a fare dei video dove monta gli archivi di famiglia e ricerca un poco delle sue radici, finché un giorno un’amica le indica una residenza con l'artista portoghese decoloniale Grada Kilomba, dove Ana Paula avrebbe dovuto filmare i lavori.
“E’ stata una settimana di residenza che mi ha segnato profondamente, finalmente è venuto fuori tutto quello che io avevo dentro ma non sapevo, fino a quel momento, che nome dare. Ho per la prima volta capito tutto quanto!”
A partire da quell’incontro iniziano a sorgere i primi lavori incentrati sulla tematica decoloniale, attraverso la ricerca e lo studio di archivi.
Il suo lavoro inizia, quindi, a incentrarsi sul tempo e sul corpo e come questi possono essere riconfigurati da un’esistenza afro-diasporica.
Attraverso la creazione di video, veri e propri poemi cinematografici,che raccontano di corpi e di mondi molte volte non intuibili ai più, Ana Paula inizia a far passare il proprio messaggio e ad esternare i propri sentimenti.
E’ il caso, ad esempio, di REVERB, uno dei suoi primi lavori internazionali: girato interamente tra i paesaggi innevati della baviera, il poema cinematografico di danza, ispirato alla coreografia degli artisti Mario Lopes e Malu Avelar, esplora la dimensione corporea, invitando lo spettatore ad interrogarsi sull’esistenza di quei corpi e sui loro movimenti.
Due corpi neri, che ballano nella neve bianca…in uno scenario del tutto in conflitto tra corpo e ambiente.
​
​
​
​
​
​
​
​
​
​
​
Da qui, inizia per Ana Paula, una focalizzazione e indagine del (ri)significato delle sue memorie, le sue origini e storia, facendo di queste narrative il messaggio centrale della sua arte, quasi come una necessità di raccontare storie per esternare quello che è rimasto nascosto dentro…quasi come una cura.
“Tempo de cura” infatti, è uno dei lavori che mi ha attirato di più l’attenzione, un vero e proprio film sulla memoria e il trauma che la colonizzazione ha lasciato sui popoli.
​
​
​
​
​
​
​
​
​
​
Per quanto riguarda i supporti utilizzati da Ana, è interessante capire come passa dall’installazione, al video allo studio del suono. Supporti nel quale si sente libera di esprimersi e nei quali trova la forma più idonea per raccontarsi e continuare a sperimentare e a creare nuove narrative che diano significato al corpo.
Ma chi è Ana Paula Mathias oggi?
Quando ho conosciuto il lavoro di Ana Paula, ero alla ricerca di qualcuno che potesse partecipare ad un progetto con la rivista Exibart, mi era stato proposto da Francesca Leoni di Ibrida Festival di inserire due artisti brasiliani di videoarte nella rubrica tv.exibart.
Ho subito chiamato Marcia Beatriz Granero, la mia “spacciatrice ufficiale” di videoartisti sudamericani.
Lei mi ha indicato Ana Paula, descrivendola come una artista giovane ma molto talentuosa.
E così l’ho contattata e ho subito constatato che Marcia aveva ragione…aggiungerei come sempre!
Ana mi ha fatto visionare un lavoro appena finito: Regeneration 4.0
Penso che possa molto bene riassumere il lavoro di Ana Paula, usando la metafora visiva di una cellula, lei crea un paesaggio mentale e poetico sulla rigenerazione ancestrale come percorso di guarigione da un passato coloniale segnato dal silenzio e dalla cancellazione della storia dei suoi antenati.
Testo:
in the framing without memory
find a present of vast metrics.
in this metric, vast,
i dream my imagined story.
I am in the darkness
at the bottom of the ocean.
an abyssal darkness
overtaken by sleeping seeds.
a sunless sky
full of bright stars.
and the smell of the roots
of the humid forests.
here, i already know the truth,
but it’s as if i was just born.
in a ritual time where the ancestral
is present in the always.
continuously.
long ago,
I went beyond the limitations
of this frame intoxicated with light, white
within that infinite metric, i find my divinity.
i lay down on the floor
where all mysteries are stored.
i bring my ear close to the soil
and i hear a whisper like a cyclic fluctuation
your divinity has harmony as truth.
and truth cannot exist in silence.